Per celebrare la Giornata Mondiale contro desertificazione e siccità, un posto di rilievo nella discussione non può non ricoprirla il tema del disboscamento massiccio di vaste aree del Pianeta, così adiacente e spesso propedeutico al fenomeno.
Per alimentare l’industria mondiale del legno, tra le maggiori colpevoli del fenomeno, specie in Amazzonia ma non solo, si sono cercate nel tempo varie soluzioni.
Tra le più pittoresche ed al tempo stesso promettenti, oggi vi presentiamo il daisugi.
Immaginate una foresta incantata, in grado di rifornire legna in quantità ed al contempo restare sempre …. foresta, senza diminuire mai di una sola unità il numero di alberi.
Fiaba? No, realtà plurisecolare.

Il Daisugi è infatti una antica tecnica di potatura giapponese antica di oltre seicento anni, sviluppatasi in Giappone tra il XV ed il XVI secolo per sopperire alla carenza di legname e di terreno, giunta ai giorni nostri anche se – stranamente – praticamente sconosciuta a tutti e relegata soprattutto a tecnica decorativa per giardini e bonsai in vaso.
Utilizzando semplici metodi di trasformazione di giovani piante in bonsai, con tale tecnica è possibile far crescere sulla cima di maestosi esemplari di cedro di Kitayama (noto anche come cedro rosso del Giappone o crittomeria) altri alberi – propaggine, più leggeri, alti e perfettamente diritti.
I cedri vengono potati rigorosamente a mano, lasciando crescere solo i rami superiori da cui germoglieranno i nuovi rami.
L’effetto ottico è surreale, come se i cedri fossero coltivati sopra altri cedri.
Un singolo albero può dare vita fino a cento germogli alla volta e produrre legno anche per tre secoli prima di esaurirsi. E se non bastasse, il legno di tali alberelli (conosciuto come ‘taruki’) è incredibilmente più flessibile dell’albero stesso su cui si sviluppa e notevolmente più denso e forte, mentre la sua forma diritta lo rende un materiale perfetto per travi e soffitti che devono rispettare certi parametri estetici ed essere resistenti allo stesso tempo.